Hate speech

Se da un lato la libertà d’espressione è un diritto tutelato nelle maggiori democrazie, questa libertà pare contrastare talvolta con la possibilità di esprimersi utilizzando messaggi d’odio o d’incitazione alla violenza (hate speech).

Il contesto giuridico nazionale può risultare per certi versi controverso su questo tema, nonostante lodevoli ed efficaci iniziative sul modello di #odiareticosta. Tuttavia, il legame tra le manifestazioni di odio verbale e violenza reale è in testimoniato in vari studi, e l’uso sistematico di messaggi violenti, razzisti e denigratori è stato approfondito nell’escalation di conflitti e genocidi.

Secondo il rapporto redatto per il progetto europeo BRICKS (Building Respect on the Internet by Combating hate Speech) si sta assistendo in Italia (e più in generale nel mondo, grazie ai social network) ad un incremento di messaggi di incitamento all’odio razziale nei confronti di rifugiati, migranti e minoranze in generale. Se ne trovano testimonianze nei forum dei giornali online, sulle pagine di Facebook di testate nazionali e locali, nei commenti su Twitter. Il fenomeno di difficile monitoraggio, può essere parzialmente studiato e gestito attraverso analisi linguistico-computazionali che tendono ad attribuire valori di “allerta” rispetto a commenti e discussioni pubbliche sui maggiori social network. Ciò fornisce non solo un potenziale strumento di monitoraggio di situazioni “a rischio”, ma illustra anche la percezione di determinati fenomeni polarizzanti (e.g. ondate migratorie, sbarchi, chiusura dei porti, campi profughi e centri d’accoglienza) ed eventi (e.g. pandemia e percezione dello straniero/migrante) da parte di precisi gruppi sociali.

Approfondimenti:

Esempio di analisi linguistico-computazionale delle discussioni sui social network http://www.di.unito.it/~tutreeb/haspeede-evalita18